venerdì 25 gennaio 2013

Case, strade e capannoni: l’Italia è in ginocchio con i piedi nel cemento

Baia Sistiana (Trieste): previsti due villaggi residenziali, alberghi, ristoranti, 11 bar, 5 piscine, 97 posti barca, posteggi per 800 auto, centro benessere di 4 mila metri quadri (Sette Green/Antolino)

In 15 anni è stata asfaltata un’area agricola grande come Lazio e Abruzzo messi insieme. Siamo i primi a produrre cemento e gli ultimi a saperlo riciclare.

Bel Paese? Mica tanto. L’Italia, più che sul lavoro, è diventata una Repubblica fondata sul cemento. E lì rischia di restare, con i piedi piantati nell’asfalto di un territorio sempre più urbanizzato, brutto e, per giunta, pericoloso. Non è una storia nuova, anzi, e proprio il fatto che risalga a tempi lontani la rende ancora più inquietante. «Non so, non so perché, perché continuano a costruire le case e non lasciano l’erba», cantava il “ragazzo della via Gluck” di Celentano nel 1966 e, alla fine, si chiedeva «se andiamo avanti così, chissà come si farà, chissà...».

SCAVIAMO COME TALPE - Quasi mezzo secolo dopo, produciamo cemento come nessun altro: una media di 565 chilogrammi per cittadino, di fronte a una media europea di 404. Per «vantare» questo primato ci servono quantità mostruose di sabbia, ghiaia e pietrisco, i cosiddetti «materiali inerti» con cui si realizza il cemento. Quindi scaviamo come talpe instancabili, deturpando il territorio: nel 2010 c’erano 5.736 cave attive e 13 mila dismesse, che al di là dell’ufficialità salivano a un numero non quantificabile, visto che molte Regioni italiane non le censiscono nemmeno, come risulta dall’ultimo studio sull’attività estrattiva di Legambiente. Le imprese del settore, vendendo sabbia e ghiaia, ricavano circa 1 miliardo e 115 milioni di euro all’anno, mentre nelle casse pubbliche, in cambio delle concessioni per le cave, entrano meno di 45 milioni. Sembra «materiale inerte» anche lo Stato, visto che la tassazione media sull’attività estrattiva è all’incirca del 4% e ci sono regioni come Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, dove si cava senza pagare un euro. In Inghilterra, tanto per fare un esempio, si paga il 20%.
SOLUZIONE - Per scavare e devastare di meno un sistema esiste, e negli altri Paesi europei lo si utilizza: si recuperano i materiali dalle costruzioni e dalle demolizioni, piccoli o enormi che siano. Nei Paesi Bassi il quantitativo di materiale edile riciclato è del 95,1%, in Danimarca il 94,9%, in Belgio il 90%, in Germania l’86,3%. Noi chiudiamo la classifica con un misero 10% (dati Eurostat e Ispra), mentre va a finire nelle discariche o negli inceneritori il restante 90%, con tutti i costi ambientali ed economici che questo comporta. Per spiegare questo comportamento anomalo va detto che in Danimarca, per esempio, buttare materiale edile in una discarica costa una tassa circa cinque volte più alta di quella che si paga in Italia. Da noi, in più, a incentivare l’«usa e getta» c’è anche l’ampia offerta delle convenienti discariche abusive nelle mani della malavita, e quindi è tutta una ruota che gira, dalla parte sbagliata.

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